Dal Fatto Quotidiano:
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/dai-rifacciamo-anche-il-referendum-del-46/
Brexit e voto responsabile: dai, rifacciamo anche il referendum del ’46
Massì dai, rifacciamo il referendum. Non piace l’esito? Riprova, sarai più fortunato. Da giorni sentiamo parlare di
una raccolta di firme con cui un milione, poi due, poi tre di cittadini inglesi chiedono di rivotare con nuove regole per
la Brexit.
La petizione (di cui già 77mila firme sarebbero state invalidate) era
stata lanciata tempo fa – ironia della sorte – da un fautore del
Leave
che temeva un esito non in linea con le sue convinzioni. Ovviamente non
si rifarà alcunché – ridicolo solo pensarlo – ma la notizia viene data
con evidenza perché sarebbe inequivocabile
segno di ravvedimento dopo le reprimende internazionali: hanno sbagliato, ma sono pronti a pentirsi e genuflettersi (dieci Pater e cinque Ave).
Passando in rassegna
le articolesse degli inviati
nelle famigerate zone rurali responsabili della “catastrofe” (contadini
che solo ora si domandano sgomenti “ma cosa abbiamo combinato?”) e gli
editoriali indignati di commentatori a cui pare abbiano assassinato un congiunto, lo scenario è quello di una
guerra mondiale. Anzi siamo già al
genocidio: un’intera generazione è stata uccisa nelle urne. È tutto un parlare straziato di fine del sogno, di
vecchi vendicativi e nostalgici,
giovani rovinati: addio Interrail, addio Erasmus. Quando la formula di viaggio riservata agli
under 21
fu inventata nel 1972, si poteva viaggiare per l’Europa in Paesi che
all’epoca non avevano ancora aderito alla Cee. E al programma di
mobilità studentesca che consente di fare un periodo di studi legalmente
riconosciuto all’estero aderiscono anche
Turchia, Islanda e Norvegia che non fanno parte della Ue. Bisognerebbe poi chiedere a
Romano Prodi come abbia fatto, all’alba degli anni Sessanta, a perfezionare i suoi studi alla
London School of Economics. Si sarà imbarcato come mozzo su una nave? Avrà falsificato i documenti?
Al di là del folklore, è inaccettabile il
tentativo di delegittimare il voto, con la scusa della presunta difficoltà del tema: argomento troppo complesso per darlo in pasto ai
bifolchi delle contee che vanno alle urne con la vanga e imbrattano la scheda con le mani sporche di terra. Facciamo così: per evitare
“l’abuso populistico della democrazia”,
rifacciamo tutto da capo. E in cabina elettorale sono ammessi solo i
lavoratori della City, i residenti a Myfair, i contribuenti con più di
un milione di sterline di reddito, i certificati sostenitori del
Remain.
Oppure torniamo ai vecchi tempi, quando in Italia (fino a un secolo fa) votavano solo i
maschi abbienti e poi
i maschi
che sapevano leggere e scrivere. Il suffragio universale lo conosciamo
da poco: nel ’46, al referendum istituzionale, andarono alle urne per la
prima volta anche
le donne. Potremmo rifare anche
quello: l’organizzazione dello Stato è certamente materia troppo
complessa per farla valutare a un popolo (ai tempi analfabeta al 60%).
Chi erano
quei poveracci dei nostri nonni per cacciare
un Re (un Re, mica un usciere) e scegliere la Repubblica? Ora siamo
chiamati (in ottobre, ma forse in novembre o forse in dicembre) a un
altro referendum, piuttosto tecnico, che modifica 43 articoli della
Costituzione su materie decisamente complesse. Che poi: se la Carta del
’47 fu scritta in maniera chiara apposta per essere compresa da tutti,
quella nuova è scritta apposta perché le persone non capiscano. Tra
una complessità e un tecnicismo, ci sarebbe un piccolo particolare: se passa non votiamo più al Senato. Pazienza, che vuoi che sia. Facciamo votare
solo i laureati in Legge?
Eh no perché “la riforma è problema troppo serio per essere affidato ai
soli costituzionalisti”, come ha scritto Michele Salvati sul
Corriere. Facciamo così: abilitati solo i giuristi della maggioranza Pd (giureconsulti del calibro del ministro Boschi).
I governi, dicono, esistono apposta per decidere sulle questioni complesse, che
la plebe ignorante ignora.
Dunque poniamo che due secoli di lotte sindacali e diritti sociali
venissero (è una pura ipotesi, naturalmente) cancellati d’un tratto
perché così decide, mettiamo, la finanza internazionale: la plebe non
avrebbe diritto di parola. Se
il lavoro, la salute, l’istruzione
non fossero più diritti garantiti, i popoli dovrebbero educatamente
soprassedere. Se hanno davvero fame, gli daremo delle brioche. Il vero
punto però è prima del merito: è accettare o no i meccanismi
democratici. Il passo successivo all’isteria cui stiamo assistendo è
il governo degli ottimati,
che oggi chiamiamo tecnici (ai quali dobbiamo capolavori tecnici come i
300mila esodati dimenticati dalla legge Fornero). È incredibile che a
dare questa prova di razzismo contro i vecchi, retrogradi, inabili al
voto (chi sono gli inglesi per decidere del loro destino? Mica vorranno
dare lezioni di democrazia?) siano gli stessi a cui viene l’orticaria al
solo nominare Salvini. Vuoi vedere che gli
intellettuali illuminati e progressisti hanno scoperto che
il governo del popolo puzza di popolo? Che schifo.