lunedì 6 novembre 2017

Saturnia grande campo.

Ci si gioca tutto l'anno in un'oasi di verde e natura incontaminata. L'ultima volta in cui ci ho giocato 18 buche il campo era bellissimo ed i green in condizioni perfette. Veramente un posto magico.

Da Golf & Turismo ecco una bella news dedicata:

Una nuova stagione attende i golfisti a Terme di Saturnia!
Tante le possibilità di abbonamento per giocare sul percorso da campionato tutto l’anno
Una grande novità attende i giocatori toscani che decidono di associarsi al Golf Terme di Saturnia. Il circolo grossetano infatti a partire dal 2018 sarà aperto tutto l’anno, anche a gennaio!
Per festeggiare questa importante novità sono state ideate nuove tariffe con piscina inclusa.
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  • Annuale € 1.000,00
  • Cumulativo marito e moglie € 1.500
  • Under 16 € 250
  • Under 18 € 500
  • Club dei Giovani (tessera FIG e lezioni incluse secondo orario) € 390
  • Abbonamento a distanza € 700 (residenti fuori Toscana e all’estero)
Per Maggiori Info e Dettagli, contattare la Segreteria Golf
Tel. 0564 600844 – golfclubtermedisaturnia@termedisaturnia.it

mercoledì 1 novembre 2017

Libera nos a U.S.A.

Dal sito massimofini.it

 Ma quante opere di bene dai cinque ex presidenti!

 I cinque presidenti americani che hanno preceduto Trump si sono riuniti per raccogliere fondi per le vittime degli ultimi uragani. Queste ‘Dame di San Vincenzo’ made in Usa avrebbero fatto meglio a contare le vittime civili che hanno provocato durante la loro presidenza e a ripensare ai disastri politici che hanno combinato. Non tutti per la verità. Il democratico Jimmy Carter fu un presidente pacifico e pacifista. Invece l’altrettanto democratico Bill Clinton aggredì la Serbia contro la volontà dell’Onu e senza alcuna seria ragione. La Serbia era alle prese con un conflitto interno: gli albanesi del Kosovo, divenuti maggioranza, avevano creato un movimento indipendentista armato (armato dagli Usa) che come avviene in ogni lotta di liberazione faceva uso del terrorismo, la Serbia difendeva l’integrità dei propri confini. C’erano due ragioni a confronto che avrebbero dovuto essere risolte dai contendenti senza alcun peloso intervento esterno. Invece intervennero gli Usa da diecimila chilometri di distanza e che dopo il tentativo di accordo di Rambouillet, che la Serbia non poteva accettare perché avrebbe significato la sua fine come Stato sovrano, decisero che le colpe stavano solo dalla parte dei serbi, e bombardarono per due mesi quel Paese. Risultati. 5.500 morti civili di cui 500 erano albanesi cioè proprio coloro che si pretendeva difendere. Oggi il Kosovo è ‘libero’, ma al prezzo della più grande pulizia etnica dei Balcani: dei 360 mila serbi che vivevano in Kosovo ne sono rimasti solo 60 mila. E’ vero che oggi in Kosovo gli americani hanno la loro più grande base militare al mondo, ma in questo modo hanno favorito, contro la Serbia ortodossa di Milosevic che faceva da ‘gendarme’ dei Balcani, la componente musulmana dove oggi sono ben incistate cellule Isis, mentre la criminalità comune (droga, traffico di armi e di esseri umani) è aumentata in modo esponenziale. Inoltre dopo il precedente del Kosovo, che dagli Stati Uniti è lontanissimo, riesce un po’ difficile contestare alla Russia di essersi annessa i territori russofoni ai suoi confini.
Qualche attenuante ha invece Bush senior, repubblicano: Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, Stato sovrano rappresentato all’Onu (anche se, per la verità, il Kuwait è uno Stato fantoccio creato dagli Stati Uniti nel 1960 per i loro interessi petroliferi). Le perplessità, per chiamarle così, vengono dal modo in cui gli americani condussero quella guerra. Invece di affrontare fin da subito, sul terreno, l’imbelle esercito iracheno che era stato battuto persino dai curdi e per salvare il rais di Bagdad dovette intervenire la Turchia (e quanto imbelle sia questo esercito lo si è visto anche di recente a Mosul e a Raqqa) bombardarono per tre mesi Bagdad e Bassora facendo 157.971 vittime civili di cui 32.195 bambini.
E’ stato poi il figlio George W. Bush, repubblicano, a inventarsi la teoria totalitaria che gli Sati democratici avevano non solo il diritto ma anche il dovere di esportare, a suon di bombe, la democrazia in quelli che democratici non erano. La guerra all’Afghanistan talebano è stata, e continua a essere, una guerra puramente ideologica. C’era stato, è vero, nel frattempo l’11 settembre. Ma i fatti hanno poi dimostrato in modo inequivocabile che i Talebani con l’abbattimento delle Torri Gemelle non avevano niente a che fare. La teoria Bush si è poi estesa all’Iraq (2003) e col democratico Obama alla Libia (2011). In Iraq le conseguenze, umane e politiche, sono state devastanti. I morti causati, direttamente o indirettamente, dall’intervento americano vanno dai 650 ai 750 mila. Inoltre gli americani, che avevano sempre combattuto gli iraniani e che nella guerra Iraq-Iran erano intervenuti per impedire agli uomini di Khomeini la vittoria che si erano conquistati sul campo, con la guerra all’Iraq hanno consegnato agli iraniani, che non hanno dovuto sparare nemmeno un colpo, tre quarti dell’Iraq. La tragedia libica, Obama presidente, è sotto gli occhi di tutti.
In Siria c’era una rivolta contro Assad. Anche qui, come in Serbia, era una questione interna a quel Paese. Sono intervenuti gli americani, con i soliti bombardieri e droni, il che ha permesso ai russi di inserirsi nel conflitto. I morti di questa tragedia li conteremo alla fine se avrà una fine.
L’avventurismo americano è stato seguito con fedeltà canina dagli europei (con qualche eccezione: Angela Merkel) e si è rovesciato puntualmente sul Vecchio Continente. L’aggressività americana nei confronti del mondo musulmano ha partorito l’Isis che nonostante le sconfitte a Mosul e a Raqqa non è affatto finito, è anzi più pericoloso che mai per noi europei perché i foreign fighters stanno rientrando. Inoltre è sulle coste del Vecchio Continente, in particolare quelle italiane, che si riversa parte dei migranti che fuggono dalle guerre innescate dagli Stati Uniti. Se i presidenti americani che si sono riuniti per fare le ‘anime belle’ siano più cinici o più cretini non sapremmo dire. Quel che è certo è che noi europei siamo stati solo cretini.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2017

giovedì 30 giugno 2016

Dal Fatto Quotidiano:
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/dai-rifacciamo-anche-il-referendum-del-46/

Brexit e voto responsabile: dai, rifacciamo anche il referendum del ’46

Massì dai, rifacciamo il referendum. Non piace l’esito? Riprova, sarai più fortunato. Da giorni sentiamo parlare di una raccolta di firme con cui un milione, poi due, poi tre di cittadini inglesi chiedono di rivotare con nuove regole per la Brexit. La petizione (di cui già 77mila firme sarebbero state invalidate) era stata lanciata tempo fa – ironia della sorte – da un fautore del Leave che temeva un esito non in linea con le sue convinzioni. Ovviamente non si rifarà alcunché – ridicolo solo pensarlo – ma la notizia viene data con evidenza perché sarebbe inequivocabile segno di ravvedimento dopo le reprimende internazionali: hanno sbagliato, ma sono pronti a pentirsi e genuflettersi (dieci Pater e cinque Ave).
Passando in rassegna le articolesse degli inviati nelle famigerate zone rurali responsabili della “catastrofe” (contadini che solo ora si domandano sgomenti “ma cosa abbiamo combinato?”) e gli editoriali indignati di commentatori a cui pare abbiano assassinato un congiunto, lo scenario è quello di una guerra mondiale. Anzi siamo già al genocidio: un’intera generazione è stata uccisa nelle urne. È tutto un parlare straziato di fine del sogno, di vecchi vendicativi e nostalgici, giovani rovinati: addio Interrail, addio Erasmus. Quando la formula di viaggio riservata agli under 21 fu inventata nel 1972, si poteva viaggiare per l’Europa in Paesi che all’epoca non avevano ancora aderito alla Cee. E al programma di mobilità studentesca che consente di fare un periodo di studi legalmente riconosciuto all’estero aderiscono anche Turchia, Islanda e Norvegia che non fanno parte della Ue. Bisognerebbe poi chiedere a Romano Prodi come abbia fatto, all’alba degli anni Sessanta, a perfezionare i suoi studi alla London School of Economics. Si sarà imbarcato come mozzo su una nave? Avrà falsificato i documenti?
Al di là del folklore, è inaccettabile il tentativo di delegittimare il voto, con la scusa della presunta difficoltà del tema: argomento troppo complesso per darlo in pasto ai bifolchi delle contee che vanno alle urne con la vanga e imbrattano la scheda con le mani sporche di terra. Facciamo così: per evitare “l’abuso populistico della democrazia”, rifacciamo tutto da capo. E in cabina elettorale sono ammessi solo i lavoratori della City, i residenti a Myfair, i contribuenti con più di un milione di sterline di reddito, i certificati sostenitori del Remain.
Oppure torniamo ai vecchi tempi, quando in Italia (fino a un secolo fa) votavano solo i maschi abbienti e poi i maschi che sapevano leggere e scrivere. Il suffragio universale lo conosciamo da poco: nel ’46, al referendum istituzionale, andarono alle urne per la prima volta anche le donne. Potremmo rifare anche quello: l’organizzazione dello Stato è certamente materia troppo complessa per farla valutare a un popolo (ai tempi analfabeta al 60%). Chi erano quei poveracci dei nostri nonni per cacciare un Re (un Re, mica un usciere) e scegliere la Repubblica? Ora siamo chiamati (in ottobre, ma forse in novembre o forse in dicembre) a un altro referendum, piuttosto tecnico, che modifica 43 articoli della Costituzione su materie decisamente complesse. Che poi: se la Carta del ’47 fu scritta in maniera chiara apposta per essere compresa da tutti, quella nuova è scritta apposta perché le persone non capiscano. Tra una complessità e un tecnicismo, ci sarebbe un piccolo particolare: se passa non votiamo più al Senato. Pazienza, che vuoi che sia. Facciamo votare solo i laureati in Legge? Eh no perché “la riforma è problema troppo serio per essere affidato ai soli costituzionalisti”, come ha scritto Michele Salvati sul Corriere. Facciamo così: abilitati solo i giuristi della maggioranza Pd (giureconsulti del calibro del ministro Boschi).
I governi, dicono, esistono apposta per decidere sulle questioni complesse, che la plebe ignorante ignora. Dunque poniamo che due secoli di lotte sindacali e diritti sociali venissero (è una pura ipotesi, naturalmente) cancellati d’un tratto perché così decide, mettiamo, la finanza internazionale: la plebe non avrebbe diritto di parola. Se il lavoro, la salute, l’istruzione non fossero più diritti garantiti, i popoli dovrebbero educatamente soprassedere. Se hanno davvero fame, gli daremo delle brioche. Il vero punto però è prima del merito: è accettare o no i meccanismi democratici. Il passo successivo all’isteria cui stiamo assistendo è il governo degli ottimati, che oggi chiamiamo tecnici (ai quali dobbiamo capolavori tecnici come i 300mila esodati dimenticati dalla legge Fornero). È incredibile che a dare questa prova di razzismo contro i vecchi, retrogradi, inabili al voto (chi sono gli inglesi per decidere del loro destino? Mica vorranno dare lezioni di democrazia?) siano gli stessi a cui viene l’orticaria al solo nominare Salvini. Vuoi vedere che gli intellettuali illuminati e progressisti hanno scoperto che il governo del popolo puzza di popolo? Che schifo.
di | 28 giugno 2016

giovedì 19 maggio 2016

Massimo Fini ha sempre ragione

 

http://www.massimofini.it/articoli/il-ventennio-e-le-citta-linsulto-automatico-di-tutt-erba-un-fascio 

Il Ventennio e le città. Linsulto automatico di tutt'erba un fascio

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Alfio Marchini, candidato a sindaco di Roma per il centrodestra, ha affermato che Benito Mussolini fu un grande urbanista. I soliti ‘trinariciuti’, per usare un’espressione di Guareschi, l’han subito bollato come ‘fascista’. Che il fascismo abbia avuto una valida urbanistica è fuori discussione. C’è stata un’urbanistica sociale durante il Ventennio di cui fan fede, per esempio a Milano, le case per i maestri con facciate in bugnato e i giardini dietro. Il fascismo voleva dare dignità all’istruzione e quindi anche i semplici maestri dovevano avere una sistemazione adeguata. Oggi quelle case sono di gran pregio. Lo stesso si può dire per le case dei ferrovieri, su tre piani e con un grande giardino che nel dopoguerra furono abitate dai giornalisti formando il cosiddetto ‘villaggio dei giornalisti’. Sempre a Milano fu costruita una piscina popolare, a prezzi contenutissimi, come la Cozzi. E per stare nell’architettonico quasi davanti a casa mia c’è la Stazione Centrale che quando ero ragazzo consideravo un monumento al kitsch e che invece è stata poi imitata da molte città europee. Lo stesso, o quasi, si può dire per la Casa della Cultura nel quartiere dell’Eur di Roma, Casa e quartiere ideati e costruiti anch’essi dal fascismo che ebbe uno stile architettonico inconfondibile, a differenza dell’accozzaglia che è venuta su nel dopoguerra.
C’è poi la legge a tutela di Firenze, contro la speculazione edilizia che ne ha salvato la compattezza, a differenza, poniamo, di quanto è successo nel dopoguerra per un’altra grande città d’arte come Roma. Ci sono le bonifiche dell’Agro Pontino con casali e terreni disegnati a regola d’arte per l’insediamento dei contadini fatti venire dal Friuli, dal Veneto, dal delta del Po (si legga in proposito il libro di Antonio Pennacchi Canale Mussolini). C’è la costruzione ex novo di città di media grandezza come Littoria, oggi Latina, o la valorizzazione di Pescara da piccolo borgo a città o la disseminazione sul territorio agricolo di altri piccoli centri. E si potrebbe continuare. Anche su altri piani. L’IRI fu un’intelligente risposta alla crisi del ’29 che l’Italia riuscì di fatto a non subire (è anche vero che la globalizzazione non era quella di oggi) e non è colpa del fascismo se nel dopoguerra l’IRI diventerà un immondo carrozzone in prevalenza democristiano ad uso clientelare. C’è il tentativo, difficile, di conservare parte della struttura agricola del nostro territorio (‘la battaglia del grano’) senza con ciò ostacolare l’inevitabile progresso industriale. Una politica che se proseguita nel dopoguerra, invece di costruire cattedrali nel deserto, ci tornerebbe oggi molto utile dal momento che è evidente che un ritorno alla terra, sia pur non con i buoi e l’aratro a chiodo, si presenta sempre più necessario. Insomma il fascismo ebbe un’idea di Stato e di Nazione che cercò di perseguire con coerenza, idea che manca completamente alle classi dirigenti di oggi siano esse di sinistra o di destra.
Ma non è mia intenzione fare qui, nemmeno a volo d’uccello, la storia del fascismo nei suoi aspetti positivi e non solo in quelli, ampiamente noti, negativi e inaccettabili (le leggi razziali, l’entrata in guerra impreparati, la sconfitta, la creazione della Repubblica di Salò che pose le basi della guerra civile). Quello che mi preme sottolineare è che il fascismo godette di un vastissimo consenso, per lunghi anni sincero, e questo non lo dico io ma l’ha scritto già nel 1974 lo storico Renzo De Felice. Ora, usare il termine ‘fascista’ (inteso in senso storico e non antropologico) come un insulto e considerare il fascismo (storico) solo una serqua di nefandezze fa torto alla nostra intelligenza. Vorrebbe dire che tutti i nostri padri o nonni sono stati dei manigoldi, mentre noi siamo delle ‘anime belle’ solo perché viviamo in una democrazia, vera o presunta. Le cronache dell’ultimo quarantennio per non parlare di quelle di questi anni, mesi e giorni, lo smentiscono brutalmente.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 15 maggio 2016

mercoledì 18 maggio 2016

stupendo pezzo su l'intellettuale dissidente...

http://www.lintellettualedissidente.it/letteratura-2/maurizio-makovec-e-il-nostro-celine/

Maurizio Makovec è il nostro Céline

Il romanzo arrabbiato della (de)generazione dei figli del benessere è da anni tra gli scaffali delle distratte librerie italiane. E nessuno se n’è accorto. Al diavolo l’America, la destra e la sinistra, il baronismo universitario, l’Italia eternamente serva dello straniero, sempre corrotta e faccendiera. Al diavolo il consumismo, i genitori, l’università, il lavoro fisso, le vallette e la televisione. È arrivato Makovec, il Céline italiano!
di - 18 maggio 2016

lunedì 12 maggio 2014

Bellissimo articolo su Vitertbo e i suoi bagni termali:

http://www.italymagazine.com/news/best-kept-secret-viterbos-thermal-baths


Best-Kept Secret: Viterbo's Thermal Baths
Barry Lillie | Sunday, April 27, 2014 - 08:30
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If one day you find yourself travelling south from Florence to Rome, or vice versa, make time to take in the town of Viterbo. Two-hours from Florence and one and a half from Rome, Viterbo is a good place to stopover for some serious relaxation.
During the second half of the 13th century, following the expulsion of the popes from Rome, the town became the papal seat and well worth a visit is the Palazzo dei Papi, where, in 1268, following the death of Pope Clement IV, the longest papal election took place. During the three-year election, mostly due to in-fighting, one cardinal resigned and a further three died during the process.
Next to the Palazzo is the Duomo of Santa Maria Nuova, where Saint Thomas Aquinas once preached from the outdoor pulpit; the Cosmatesque marble floor of the Duomo is worth taking a few minutes out of your schedule to see.
Following the departure of the papacy, the town succumbed to the Black Death losing two-thirds of its population and, in 1349, it was struck by a major earthquake; eventually it declined in importance and today it’s the place where Italy’s gold reserves are stored. But despite its chequered history, it has always had a resource that keeps bringing visitors back time and time again.
A few kilometres away is lago di Vico, a caldera lake situated in the basin of the Vico volcano. The lake feeds one of Italy’s most important thermal areas whose epicentre, Bullicame, was described by Dante Alighieri in his epic poem, "The Divine Comedy":  "As from the Bulicame [sic] springs the brooklet, the sinful women later share among them, so downward through the sand it went its way." (Inferno, Canto XIV.)
This band of sulphurous-sulphate and alkaline thermal springs that cover over 12km were well known to the Etruscans; at its source, the water temperature is between 58° and 66° C, subsequently the Romans revelled in its therapeutic properties. The ruins of several Roman water-works and luxurious bath-houses can still be found today.
The water feeds several pools and is said to cure many ailments including skin conditions like psoriasis and eczema. The mud below the surface is mineral rich and is used in both therapeutic and beauty treatments, meaning several commercial spas have been built to cater to the influx of tourists, with some costing as little as €12 per person per day*.
For those wanting a less formal affair, there are many free areas for bathing and swimming. These natural bathing spots include the famous Bullicame spring and the popular Piscine Carletti, located a mere 2km from the town centre. Also worth a visit is The Bagnaccio baths, which are positioned 8km northwest of Viterbo; these baths are situated on what was the ancient via Cassia on the road to Montefiascone, and the site is still marked by the Roman ruins of Baccucco.
All of the free bathing areas have substantial parking areas, but no security services, so remember to lock all valuables out of sight whilst enjoying the water and returning rejuvenated.
*Prices for commercial spas will vary.
- See more at: http://www.italymagazine.com/news/best-kept-secret-viterbos-thermal-baths#sthash.PEFh3jgB.dpuf